Il Tremore Essenziale (TE) è considerato il più frequente tra i disordini del movimento, con una prevalenza che va da 0.4% a 3.9% nella popolazione generale e che raggiunge livelli maggiori (fino a 4.6%) negli individui sopra i 65 anni di età1. È un disturbo caratterizzato dalla presenza di un tremore posturale e cinetico, a frequenza di circa 4-12 cicli al secondo, principalmente localizzato alle mani, e, più raramente, al capo, agli arti inferiori ed alla voce.2
Nonostante sia considerato una patologia benigna, data la scarsa influenza sull’aspettativa di vita, il TE può ridurre notevolmente la qualità di vita dei pazienti affetti, interferendo con le attività quotidiane, l’attività lavorativa e, in una minore percentuale di pazienti, presentandosi come un disturbo gravemente invalidante. Inoltre, data la natura progressiva della sintomatologia, può accompagnars i ad una disabilità crescente tale da costringere chi ne è affetto a cambiare lavoro o a ritirarsi prematuramente dalla propria professione.3
Il trattamento del TE assume quindi una importanza fondamentale al fine di migliorare le capacità, ridurre il disagio ed accrescere globalmente la qualità di vita dei pazienti che ne soffrono.
La terapia farmacologica rappresenta certamente la prima scelta, ma la chirurgia offre delle alternative efficaci nei casi più invalidanti. Tra i numerosi agenti farmacologici utilizzati, il primidone ed il propranololo rappresentano due capisaldi nella pratica clinica. Sfortunatamente, queste molecole possono risultare inefficaci nel 25-55% dei pazienti, e produrre seri eventi avversi in un’ampia percentuale di coloro i quali ne fanno uso cronico.
Malgrado l’elevata frequenza del TE nella popolazione generale, non esistono in atto delle linee guida ufficiali sull’ utilizzo delle terapie farmacologiche e chirurgiche che possano fornire un aiuto pratico ai medici nella loro attività clinica. L’unico tentativo in tal senso è stato compiuto nel 2005 da un gruppo di esperti dell’American Academy of Neurology, che ha realizzato una guida all’uso dei vari agenti farmacologici e delle terapie chirurgiche. Basandosi su di un sistema creato ad - hoc per valutare le evidenze scientifiche, gli autori hanno formulato raccomandazioni pratiche, giudicando primidone e propranololo farmaci di prima linea.4
Data la mancanza di linee guida italiane, nel 2008 l’Associazione Italiana Disordini del Movimento (DISMOV-SIN) ha instituito la Commissione per il TE, alla quale è stato affidato il compito di identificare i principali quesiti clinici riguardanti il trattamento del TE e di elaborare le relative risposte5: 1) Quali sono l’efficacia e la sicurezza dei diversi agenti farmacologici? 2) Qua le trattamento deve essere considerato di prima linea? 3) Quale di seconda linea? 4) Come deve essere gestito il trattamento (dose, durata di terapia, controlli nel tempo)?
A tal fine, la Commissione ha avviato un’ampia revisione della letteratura scientifica mirata ad individuare tutti gli studi clinici riguardanti il trattamento farmacologico e chirurgico del TE. Inoltre, per giudicare la qualità delle evidenze e la forza delle raccomandazioni, è stato utilizzato il sistema GRADE, che permette di fornire giudizi standardizzati sui singoli agenti esaminati.
L’analisi degli studi scientifici selezionati ha mostrato come le evidenze riguardanti l’efficacia dei farmaci comunemente utilizzati nella pratica clinica (beta-bloccanti ed anticonvulsivanti) siano risultate “scarse” o “molto scarse”. Tale giudizio è stato formulato tenendo in considerazione la metodologia ed il disegno di studio dei lavori prese nti in letteratura. In aggiunta, non è stato possibile fornire adeguate risposte ad alcuni importanti quesiti clinici (comparsa di eventi avversi, ripercussioni dei differenti agenti farmacologici sulla qualità di vita dei pazienti) data la mancanza di studi clinici mirati. Alla fine del lavoro, il propranololo ed il primidone sono stati giudicati trattamenti di prima linea, ed è stato evidenziato il probabile ruolo del topiramato tra i principali agenti farmacologici, nonostante il suo profilo di efficacia e sicurezza necessiti di ulteriore supporto scientifico. Indubbiamente il contributo più importante del lavoro è stato quello di aver sottolineato la presenza di scarse evidenze scientifiche sulle quali si basa la pratica clinica. Inoltre, nonostante il trattamento del TE sia ancora scarsamente soddisfacente nella maggioranza dei pazienti, gli sforzi della comunità scientifica per individuare nuove strategie terapeutiche sembrano essersi a rrestati.
In conclusione, appare chiara la necessità di studi adeguatamente strutturati e disegnati, al fine di poter ottenere dati affidabili sull’efficacia e sulla sicurezza di quei farmaci che, tutt’oggi, costituiscono il trattamento di prima linea del TE, e di ulteriori studi clinici atti a valutare strategie terapeutiche alternative a quelle classiche.
Prof. Mario Zappia
Dipartimento "G.F. Ingrassia", Università di Catania